Aokigahara, la foresta dei suicidi
Aokigahara, la foresta dei suicidi

Aokigahara, la foresta dei suicidi

Il Giappone è sempre stato, agli occhi di noi occidentali, così lontano, ubicato agli antipodi, un posto piuttosto misterioso, con usi e consumi in certi casi, quasi incomprensibili ed affascinanti per noi. Tecnologicamente avanzatissimo ma culturalmente, per certi aspetti, un pò medioevale, visto dal nostro punto di vista, il popolo nipponico è pieno di misteri, credenze e leggende come tanti altri paesi del mondo, ma con una differenza sostanziale, che in molti casi ha influenzato la cultura del paese molto più profondamente di altri.
Tra miti e leggende varie, troviamo un posto misterioso ed inquietante che, come precedentemente detto, si lega imprescindibilmente alla cultura e ad un problema sociale ad esso collegato. È noto universalmente il fatto che il Giappone sia uno dei paesi nel mondo con il più alto tasso di suicidi del pianeta, con un tasso di circa 17 abitanti ogni 100mila persone. Come in quasi tutti i Paesi del mondo la maggior parte delle vittime sono uomini. Sebbene la cultura della morte volontaria sia ancora oggi parte integrante della vita sociale giapponese, rispetto agli harakiri dei guerrieri samurai e agli ubasute dell’epoca feudale, in tempi recenti sono i giovani ad essere i più colpiti. Tra le persone di età compresa tra i 15 e i 39 anni in tutto Giappone il suicidio è la principale causa di morte, superiore alle vittime del cancro e degli incidenti stradali messe insieme, legato con ogni probabilità alle pressioni derivanti dalla performance scolastica, fonte primaria di inclusione sociale e di soddisfazione familiare. Esiste un luogo, misterioso e inquietante che verrebbe incontro a chi baleni in testa l’idea di mettere in atto l’ultimo gesto estremo della loro vita.


La foresta


Quasi ai piedi del monte vulcanico Fuji, il monte sacro giapponese, c’è una foresta di conifere di circa 3mila ettari di estensione, cresciuta su una pavimentazione fatta di roccia vulcanica dura e porosa, molto fitta, così fitta che anche il vento più forte sembra non riuscire ad intrufolarsi tra i rami. Talmente fitta che la luce del sole quasi non riesce a trafiggerla, quasi eternamente in ombra, un ombra che accoglie tante altre ombre, richiamate da una voce che solo queste stesse ombre sembra possano sentire.
Aokigahara, questo il nome più comune usato per identificarla, è una foresta che inghiotte luci, suoni e colori, immergendoti in un silenzio grigio, apatico, insopportabile. Aokigahara è il nome conosciuto da noi, Jukai il nome vero, in giapponese significa “mare di alberi”, appunto un mare che inghiotte tanti che vi si tuffano, affogando, non in una azzurra distesa, ma in un verde pallido quasi impenetrabile.
Conosciuta come “la foresta dei suicidi”, vanta un numero impressionante di suicidi, secondo nel mondo solo al Golden Gate Bridge di San Francisco, è scelto dai nipponici come luogo prediletto per compiere l’insano atto, con statistiche che rivelano che a partire dagli anni 50 del secolo scorso, circa 30 suicidi all’anno venivano compiuti tra le fronde di quegli alberi.
Dati alla mano, alcuni anni fa, le autorità si videro costrette a piazzare presso l’ingresso di tutti i sentieri che si inoltrano nella fitta vegetazione, dei cartelli con inviti a riconsiderare le proprie scelte e di fermarsi a pensare al dolore che avrebbero potuto causare ai propri familiari l’atto che intendevano compiere all’interno di quella foresta. Ma purtroppo, come prevedibile, lo sforzo non produsse risultati. Allora è stata attuata un altra contro misura, soprattutto per ovviare ai casi di emulazione che le notizie potevano indurre a tanti soggetti. Le autorità smisero di dare notizie circa il numero di decessi avvenuti, ma anche questo fu vano. Seppur la morte più comune dei suicidi è per impiccagione, tanti altri scelgono tecniche alternative, come l’overdose da farmaci, così esponendosi allo sciacallaggio del loro corpo senza vita, ad animali predatori, presenti nella foresta, che dilaniando il corpo in ogni parte fanno si che le stime effetive del numero di suicidi avvenuti in quel luogo non possano mai essere effettivi.


La leggenda


Come detto , spesso e volentieri, leggende ed abitudini, nel paese del Sol Levante, spesso si incontrano sullo stesso piano. Alla domanda, che logicamente molti di noi si pongono, ma perchè così tanti aspiranti suicidi scelgono come ultima dimora vivente proprio quella foresta?, la risposta molto probabilmente si trova nella cultura del paese.
Eppure, a ben guardare, questa foresta, seppur nell’aspetto tetra, è scelto come luogo ideale da centinaia di persone che amano il trekking e le escursioni naturalistiche, gite turistiche con pochi eguali in tutto il paese, per la vista del monte Fuji. le grotte di ghiaccio al suo interno e le fioriture dei ciliegi presenti in primavera.
Ma le leggende più antiche raccontano degli ubasate, il gesto volontario di lasciar morire un anziano, una sorta di eutanasia antica. Questo atto era generato soprattutto dalla condizione delle famiglie meno abbienti, per cui si accompagnava il membro più anziano, di comune accordo, in un luogo remoto per abbandonarlo a morte certa, per non gravare economicamente in futuro sul resto della famiglia. E senza sorprese, uno dei posti prediletti per compiere questi senocidi era proprio la foresta Jukai.
Un’altra motivazione venne da un racconto edito a metà del secolo scorso, un romanzo che parla di un amore travagliato tra due amanti morti suicidi proprio in quella foresta, stavolta però con una pratica diversa: lo shinjū, una sorta di omicidio-suicidio.
E poi esiste anche un libro, molto popolare in Giappone, intitolato, anche se non ci si può credere, Il Manuale Completo del suicidio e, quando il caso, definisce Aokigahara come il luogo perfetto per morire.

Aokigahara resta un posto, affascinante visto da fuori, inquietante se ci si addentra dentro, negli spazi più in ombra, quelli più grigi, quelli più silenziosi, dove l’unico suono che si può sentire è quello delle anime che vagano perse in quella fitta vegetazione, nella speranza che almeno lì abbiano trovato la pace